Dal XIII sec. all’inizio dell’Ottocento

Per la storia tardo-antica di Pietrapaola non restano molte testimonianze. La più antica risale al 1269, anno di dominazione angioina, quando il paese venne concesso al milite francese Elia de Gant e, qualche anno dopo, ad Elia de Tuello.
Sin dai primi anni del 1300, Pietrapaola appare come un centro abitato di notevole interesse economico. Dai registri angioini risulta che nel 1340 il castrum doveva pagare alla R. Corte 24 once d’oro, 1 tarì e 4 grana.

Nel 1413 la Signoria di Pietrapaola passa al cosentino Ruggero Britti, cameriere di re Ladislao di Durazzo, sovrano di Napoli, entrato in possesso di detta terra in seguito alle nozze con una discendente di casa d’Arce, e per capriccio del monarca cui era caduto in disgrazia, «…fu egli poscia per ordine del medesimo Rè posto nel Castello di Pietra Pauola prigione, et ivi fu con buona guardia custodito».
Dal 1471 in poi, anno in cui ne fu signore Tommaso Guindazzo, fu un susseguirsi di feudatari. Il 7 novembre 1500 il principe di Rossano, Giovan Battista Marzano, nomina ”capitaneum nostrum ad guerram et iustitiam Baroniae nostrae Petrapaule” il nobile Bernardino de Leonardis, già tesoriere del principe Sanseverino. In seguito alla seconda congiura dei baroni, la baronia di Pietrapaola, con la terra di Montalto ed i feudi di San Morello, Casabona, Crosia, Cropalati venne concessa dal Re Cattolico a Ferrante D’Aragona, figlio naturale di Ferrante I di Napoli. Nel 1591 ne entrò in possesso il Duca di Montalto e successivamente venne venduta all’asta a don Vincenzo Ruffo, Principe di Scilla.
Nel 1616 ne fu padrona donna Giovanna Ruffo, Marchesa di Licodia e il 18 dicembre 1619 venne venduta, con patto di retrovendita, al nobile rossanese Giovanni Michele Mandatoriccio per la somma di 25.000 ducati.

Con la scomparsa dell’ultimo feudatario di questa casata (Francesco Mandatoriccio, infeudato nel 1653), lo stato feudale passò a Vittoria Mandatoriccio, unica erede, che portò tali domini in casa Sambiase (1676) che li amministrarono sino all’abolizione della feudalità (2 agosto 1806).
Con la gestione feudale dei Sambiase, per Pietrapaola cominciò un periodo abbastanza favorevole dal punto di vista economico con la produzione di manna e cereali, ed ancor più, per l’allevamento di selezionate razze di cavalli (allevati in località Amenistalla, distrutti in seguito dal brigantaggio del decennio francese), muli, pecore e maiali semiselvaggi (i famosi “neri di Calabria”), allevati nelle immense distese di querce e castagni di Orgia, Serino, Cucco, S. Elia, Ferrante e Cipodero, tanto da essere indicato come uno tra i migliori territori della provincia.
L’artigianato, inoltre, era presente con la produzione di basti e di doghe per botti e barili, queste ultime richiestissime dal mercato pugliese. Grande importanza assumeva anche la tessitura di manufatti in lana, lino, cotone e seta – selezionati dalla stessa principessa di Campana – , per la lavorazione dei quali era in atto una varchiera (per i panni di lana) e 2 conche con appositi mangani (per la lavorazione della seta), presso la località Varco; inoltre, erano presenti sul territorio 4 mulini feudali per la molitura del grano ed altri cereali, cui si fittavano, come succedeva per l’uso della varchiera, tramite il pagamento di grano rivellato o da molire.

Tratto e adattato da:
AA.VV, Itinerario storico turistico di Pietrapaola, Associazione per il gemellaggio Pietrapaola-Warstein, Rossano 2004, pp. 12-13