Dall’olivo all’olio

Un paesaggio di oliveti

Ancora oggi, dalla costa alla collina è un susseguirsi di uliveti, su e giù per le valli, fino a Pietrapaola, dove gli ulivi qualcuno li ha persino in giardino tra i fiori e i cactus… Ma questa pianta non è solo un semplice costituente del paesaggio locale: è la conferma dell’importanza che, nei tempi passati, l’ulivo aveva per l’economia pietrapaolese.
La varietà più diffusa nel territorio di Pietrapaola è probabilmente la Dolce di Rossano, ma sarà inutile chiederlo agli abitanti, poiché essi risponderanno semplicemente “sono olive secolari…”. E da secoli esse scandiscono il ritmo della vita contadina, con le fasi cruciali della raccolta delle olive, della produzione dell’olio e della potatura.


La raccolta

Comincia a ottobre e si protrae anche fino a febbraio. A dire il vero nei tempi antichi le olive venivano spesso prese da terra dopo che il frutto aveva raggiunto la maturazione, perciò la raccolta continuava anche fino a marzo. Oggi per fortuna non è più così: c’è chi è munito di scuotitori meccanici e c’è chi scrolla i rami con pertiche o canne per far cadere le olive sulle reti al suolo, ma c’è anche chi raccoglie il frutto a mano direttamente dall’albero, magari salendoci su con la scala. Rinunciare completamente alle reti è quasi impossibile per il risparmio in termini di tempo e lavoro ch’esse rappresentano.
Il giorno stesso della raccolta le olive vengono portate in uno dei frantoi locali e macinate al prezzo di 10-15 euro al quintale. Una piccola parte è tuttavia destinanta al consumo diretto e viene preparata secondo una varietà di ricette che ne permettono anche la lunga conservazione, come le olive alla conza, a mollo, asciumate (affumicate) o schiacciate.


Al frantoio

Oggi al frantoio le fasi della produzione dell’olio sono tutte realizzate meccanicamente: le olive passano su un nastro trasportatore, dove, grazie a una ventola, vengono ripulite delle foglie; quindi convogliate in apposite vasche per il lavaggio. Una volta asciugate, sono pronte per la molitura o frangitura, cioè il momento in cui polpa e nocciolo vengono frantumati in una pasta di olive. Dopo che la pasta è stata ulteriormente lavorata nelle gramole viene immessa in una centrifuga per l’estrazione vera e propria; da qui fuoriescono separatamente olio, sansa e acqua. A questo punto il proprietario delle olive può portarsi a casa il suo olio, che sarà conservato per tutto l’anno in contenitori di acciaio; esso è tuttavia già pronto per l’uso: ‘a fresa, il pane arrostito al fuoco, si condisce rigorosamente con “l’olio giovane”.


U trappitu e ‘na vota
(il frantoio di una volta)

Casino PassavantiCasino Passavanti

Un tempo a Pietrapaola c’erano molti frantoi. Alcuni erano proprio in paese: uno al palazzo di don Giovanni, uno a San Demetrio presso Palazzo Passavanti e uno al Palazzo Urso; un altro, nell’Ottocento, apparteneva alla famiglia Santilli. Ma i frantoi si trovavano anche nella campagna, come quello del Casino Passavanti in località Acquaniti e quello del Vecchierello. Ogni famiglia con proprietà e terreni aveva in pratica il proprio trappitu, che però in un secondo tempo tornò utile anche ai proprietari minori.

foto-storica-21.jpgDon Celeste e raccoglitrici

I frantoi di una volta (fino agli anni Settanta in parte in funzionamento) non erano certamente meccanizzati. Muli, cavalli e asini facevano girare le macine di granito (molazze) che rompevano le olive. In un secondo tempo il meccanismo a molazze divenne elettrico, ma il modello restò invariato. La pasta di olive veniva poi distribuita a mano (ma più tardi anche automaticamente) su dischi in corda (i frisculi o fisculi) che venivano impilati in un’apposita colonna d’acciaio scanalata, inserendo ogni tre o quattro di loro un disco di ferro. Poi, con un meccanismo a vite, i fiscoli venivano pressati e il mosto d’olio, separandosi dalla parte solida o sansa, scorreva in contenitori posti nella parte inferiore. Questo liquido consisteva di olio e santina (acqua di vegetazione). In genere la separazione delle due componenti avveniva direttamente sul posto: un addetto aggiungeva acqua calda al mosto d’olio e poi con un grande cucchiaio di lamiera, largo quasi come un piatto, poteva cogghjire l’ogghju o dichiarare l’ogghju, cioè raccogliere l’olio puro. Molti però eseguivano o ripetevano l’operazione a casa: mettevano l’olio nella quarara (contenitore di metallo) con braci e tizzoni sistemati intorno oppure in un braciere, e dopo averlo riscaldato un poco cominciavano a “cogliere”. Un’alternativa era conservare il mosto d’olio  e aspettare che col tempo le due parti si separassero da sole. L’olio puro veniva conservato in una pisarra (giara) di acciaio o nei tempi più antichi in vere e proprie giare di terracotta.


La potatura

Gli olivi vengono rimunnati (potati) subito dopo la raccolta, ma in realtà l’ultima fase della potatura avviene ad agosto, quando vengono tagliati i furmici o succhioni. Un tempo gli specialisti erano dotati di scale e accette e lavoravano in gruppi di due o tre persone; i rami venivano inizialmente lasciati sul posto per qualche giorno e servivano da pascolo per bovini e ovini. La legna veniva poi spartita tra il padrone del fondo e il rimunnaturu, come parte del compenso per il servizio (il proprietario degli animali provvedeva invece a pulire il terreno bruciando i rami rimasti). Se nessuno dei due aveva bisogno della legna, questa poteva essere venduta, come spesso succede oggi.
Il materiale viene selezionato in base alla grandezza: mentre i tronchi costituiscono un buon combustibile per il caminetto casalingo, i rami sono più adatti al forno da pane. Il fondo deve sempre rimanere pulito, perciò i resti (‘a minuta) vengono comunque bruciati.


La fioritura

A maggio la terra viene arata, anche per proteggere il fondo dai fuochi. La fioritura delle piante di olivo avviene a maggio o giugno; le prime olive sono di colore verde, poi a poco a poco diventano rossicce o a chiazze, poi, a seconda dell’annata e della qualità, a partire da dicembre si scuriscono. La raccolta comincia a novembre, quando le olive hanno colori differenti.
Gli alberi secolari di montagna sono ottimi per l’agricoltura biologica, in quanto non necessitano di trattamenti contro il nemico principale dell’olivo, la mosca. Questo insetto buca il frutto quando è verde, di solito a settembre, e gli impedisce di maturare. A rischio sono soprattutto le piante giovani, sul versante marino.


La raccolta 2008-09 al Casino Passavanti (azienda agricola Carli)


A mano

Con le reti e lo scuotitore

Sul trattore

Il gruppo