La chitarra battente è in primo luogo uno strumento di accompagnamento al canto. Un tempo veniva usata per le canzoni di questua di Natale e Pasqua o per le serenate (d’amore, di amicizia o di dispetto). Quest’ultime rappresentavano uno dei modi privilegiati di espressione della società contadina, abituata alla parola più che allo scritto. Si tratta perlopiù di canti polivocali a strofette, in cui la prima voce stabilisce il tema, la seconda lo “riprende e lo chiude” (a gire e la vote) con la votata, cioè una stanza che ripete e conferma quella di base.
Così, da noi ancora oggi la frase “Tu va, ch’eju ci jettu” (“Tu comincia, io poi seguo e chiudo”) è l’invito all’altro a partire con la prima strofa. La votata segue poi uno dei vari stili locali: per esempio la si può cantare alla vucchigghjerisa, alla maniera di Bocchigliero, alla lannivucchisa, alla maniera di Longobucco, ecc. Quest’ultima è anche la più diffusa a Pietrapaola.
Pietrapaola è un paese ricco di distese di oliveti. Un tempo poche famiglie di grossi latifondististi, come quella dei Passavanti, detenevano quasi la metà del territorio comunale. In autunno, poi, erano soliti arrivare i braccianti dai paesi vicini, da Campana, Longobucco e Bocchigliero, a lavorare nei campi per la raccolta delle olive. Molti viveno nei pagghjari, costruiti con legno e ginestra, i più fortunati invece potevano stare nelle casette in calce vicino al casino di Passavanti. Dopo una giornata di lavoro, i braccianti usavano raccogliersi intorno al fuoco, all’interno o all’esterno delle abitazioni, al suono della chitarra battente. Ognuno cantava alla maniera del proprio paese canzoni che, essendo il risultato di scambi reciproci, erano ormai diventate patrimonio comune. Alla fatica del giorno, si sostituiva lo svago all’interno della comunità.
Salvatore Pugliese è oggi l’unico in grado di suonare la chitarra battente a Pietrapaola. Racconta la sua esperienza così:
“Ero un bambino di cinque o sei anni e mi ritrovavo occasionalmente in quelle serate, perché mi ci portava mia nonna materna Veneranda, che lavorava come bracciante. Sono sicuro che la mia passione per la chitarra battente è cominciata lì. Poi, da ragazzo, ho comprato una chitarra francese e ho cominciato con la musica popolare. Andavo a imparare da Carmine Scarcella, detto “Carmine e Scarcella”, che era bravissimo (e a Pietrapaola l’unico) a suonare la chitarra battente, ne possedeva addirittura due, e lui mi insegnò i due accordi più importanti. Poi fu il maestro Nicola Gorgoglione a mostrarmi come potevo accompagnare la chitarra battente con la mia. Mi ricordo una notte durante le feste natalizie del ’74 che tutti e tre, io Carmine e Scarcella e Nicola Gorgoglione improvvisammo un concerto da Ottavio Talarico; una serata memorabile: io alla chitarra francese, Carmine a quella battente e Nicola al mandolino.
Mi sono ritrovato con loro altre volte e anche con Vincenzo Savo; poi Carmine si è trasferito a Prato e io non ho più avuto occasione di accompagnare la chitarra battente, ma l’interesse e rimasto sempre vivo. In tutti questi anni ho conosciuto molti suonatori della zona, alcuni anche anziani che suonano alla maniera tradizionale, come i signori Vaglica e Graziano di Rossano. Nel 2005 ho conosciuto i cugini Nigro, Luigi e Giuseppe, di Rossano, grandi suonatori e cantanti alla lannivucchisa. Nello stesso anno, mi sono recato con Luigi Nigro a Bisignano, da Costantino De Bonis. Qui ho acquistato la mia prima chitarra battente che, grazie anche alle istruzioni di Luigi Nigro, ho imparato a suonare. Lo ritengo una ricchezza e sarei felice se potessi trasmettere quello che so a giovani che hanno la mia stessa passione”
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